Campanile di Santa Sofia

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03Il progetto della facciata della Chiesa di Santa Sofia predisposto da Don Francesco Antonio Baccari prevedeva due campanili ai due lati della facciata stessa. Ma l'arciprete Scipioni, evidentemente non soddisfatto, incaricò lo stesso architetto di elaborare un progetto per un nuovo campanile.

Il Baccari elaborò due progetti molto ambiziosi di torre campanaria, uno di forma cilindrica ed uno di forma quadrangolare, e li presentò alla prestigiosa Accademia Clementina di Bologna, che si espresse a favore della forma quadrangolare. Le tappe iniziali dei lavori sono note attraverso la cronaca del Boraso: la prima operazione ebbe luogo il 27 marzo 1797, con la delimitazione dei confini, e il 24 aprile successivo si iniziò a scavare. Notevoli furono le difficoltà incontrate soprattutto all'inizio, per la presenza nel sottosuolo di varie sorgenti d'acqua. Nel 1804 venne a mancare don Scipioni, che era l'anima dei lavori, ma questi, dopo una breve parentesi per il rinnovo delle cariche, continuarono. Poi sospensioni e ripresa dei lavori si alternarono. Il problema principale era quello finanziario. Per la raccolta dei fondi si diede molto da fare il terzo dei fratelli Baccari, il bibliotecario don Gaetano, che elaborò un progetto secondo il quale 1000 persone si impegnavano a versare un determinato importo per 5 anni.

Con la somma così raccolta, oltre ad avanzare con i lavori del campanile, si doveva contestualmente erigere una casa da attribuire ad uno dei contribuenti, scelto mediante estrazione a sorte al temine dei 5 anni. Tombole, lotterie e spettacoli musicali (l'opera Marin Faliero di Donizzetti) furono altre iniziative negli anni 40 per reperire fondi. Per agevolare l'attività furono anche costruite delle fornaci sul piazzale producendo il materiale in loco, estraendo la terra dal piazzale stesso della chiesa, e con la partecipazione anche di volontari. Nel 1828 i lavori erano arrivati alla cella campanaria, ma a questo punto si fermarono per una diversità di idee su come proseguire, soprattutto con riguardo alla sicurezza e alla tenuta della struttura. Il progetto del Baccari fu abbandonato per dubbi sulla stabilità, e dopo un rimpallo di opinioni, consulti di architetti, pareri della commissione dell'ornato, finalmente nel 1843 il disegno per il completamento del campanile fu approvato. E la fase finale dei lavori ebbe inizio. La cupola fu realizzata dai Soa, Silvio e il figlio Simone, e sopra la cupola fu issato l'angelo costruito da Silvio Soà in legno di cirmolo.

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Il maestoso campanile progettato 60 anni prima da Francesco Antonio Baccari era terminato, e il 16 ottobre 1857 monsignor Giovanni Renier, vescovo di Feltre e Belluno, benedisse solennemente l'opera, alta 92,5 metri (per anni si è tramandata l'altezza di 101 metri, ma una verifica effettuata con mezzi moderni ha rettificato la misura), seconda nel Veneto dopo il campanile di San Marco di Venezia, e nona in Italia.
È storia recente che nella notte tra il 24 e il 25 luglio 1973 un fulmine colpì e distrusse l'angelo ligneo originale. L'opera fu sostituita con un angelo costruito sul modello del precedente dal prof. Vedovato di Vicenza. Il nuovo angelo è alto 4 metri, e pesa quasi sette quintali, le ali misurano 2,60 metri ciascuna. Il manufatto rimase in mostra in chiesa in attesa delle opportune verifiche della struttura portante, poi fu fatto un primo tentativo di issarlo sul campanile per mezzo di un elicottero, e alla fine fu sistemato in cima al campanile mediante una gru il giorno 11 aprile 1977, lunedì dell'Angelo, quasi quattro anni dopo la caduta.


11 APRILE 1977, UN GIORNO INDIMENTICABILE

Nell’estate del 1973, precisamente nella notte tra il 24 e 25 luglio, un furioso temporale si abbatté su Lendinara ed un fulmine si scaricò sull’angelo posto in cima del maestoso campanile, emblema della città, facendolo ardere tutta la notte.

La potente scarica elettrica colpì a morte quell’angelo dorato che da altre un secolo proteggeva tutta la città annunciando, con le sue diverse posizioni, la direzione del vento e il conseguente arrivo del bel tempo o della tempesta. Un utile e amabile punto di riferimento cittadino.

Già nelle prime ore del giorno dopo ero salito, con Stefano sagrestano, in cima al campanile per un primo contatto con i pochi resti ancora caldi e affumicati dell’angelo. Una tristezza infinita.

Costruito nel 1857 con legno di cirmolo da Silvio Soà e rivestito di rame dorato, era ammirato da tutti e quando precipitò completamente incendiato, tutta la città si adoperò per ricostruirlo. E così avvenne e il nuovo angelo, fuso in bronzo sul modello del precedente, fu ultimato nel 1974.

Si trattava allora di collocarlo sulla cima del campanile. Dopo vari ma infruttuosi tentativi effettuati con un grande elicottero americano (un birotore CH-47), fu deciso di realizzare la posa utilizzando una altissima gru innalzata a fianco del campanile.

Il giorno fissato per l’operazione era il lunedì di Pasqua dell’11 aprile 1977, giornata per me indimenticabile.

Al sagrestano Stefano Mirandola e a me, che da anni avevamo dimestichezza con la struttura del campanile per le varie e frequenti manutenzioni, Mons. Giusberti aveva chiesto di occuparci personalmente della posa finale dell’Angelo. La richiesta fu accolta con gioia e con quel tanto di orgoglio che nasce dal sentirsi protagonisti di un evento straordinario.

Così in quel pomeriggio pieno di sole dell’11 aprile 1977, ci avviammo verso la cima del campanile mentre l’angelo lentamente saliva appeso al robusto gancio della gru.

A noi due il compito finale di guidare il perno, che sottostava all’angelo in bronzo, dentro la grossa trave incastrata sotto la parte più alta delle cupola del campanile e di sganciare poi la statua definitivamente dalla gru.

Forse per il peso della “bronzina” che dovevo portare lassù per inserirla nella trave a sostegno dell’angelo, forse per la tensione di arrivare senza imprevisti all’appuntamento all’interno della cupola, mi sembrò una scalata più faticosa del solito. Non feci alcuna sosta quel pomeriggio, com’era di solito mia abitudine, per ammirare il panorama o per individuare con gioia la mia abitazione o qualche altro particolare luogo di Lendinara. Il pensiero era fisso sull’impegno affidatomi.

Giunsi per tempo sotto la cupola in quella zona appena illuminata dai piccoli finestrini laterali. Riuscii con notevole sforzo ad inserirmi tra le travi passando attraverso uno strettissimo pertugio fino ad arrivare al punto in cui dovevo inserire quel pesante blocco di bronzo che avrebbe accolto la punta dell’asta dell’angelo per fare da perno girevole.

Me ne stavo rannicchiato ascoltando il crescente brusio che saliva dal piazzale gremito di tanta gente arrivata per assistere all’avvenimento. L’angelo era ormai giunto alla sommità del campanile ed il perno (lungo quasi sei metri), sapientemente guidato da Stefano, stava lentamente scendendo all’interno della grossa trave verso il punto in cui avevo infilato la “bronzina”.

Ricordo esattamente il timore che cresceva in me nell’attesa del momento in cui la punta avrebbe colpito, a pochi centimetri dalla mia mano, il bronzo che poi avrei dovuto opportunamente sistemare per far combaciare la punta del perno con la sede concava della “bronzina”.

Era un timore che nasceva dal fatto che nessuna prova preliminare si era potuta fare e che qualche dubbio sull’effetto dell’impatto si era insinuato nella mente di qualcuno di noi nella fase finale dell’operazione.

Passarono minuti interminabili … poi, quasi improvviso, un forte colpo mi fece tremare la mano. L’angelo, con tutto il suo peso (quasi sette quintali), si era appoggiato sulla “bronzina”. Rimasi davvero impaurito perché quel botto fece scricchiolare notevolmente la trave che mi sosteneva ed inoltre, rannicchiato in quella posizione in cui mi trovavo, mi fece sentire ancor più prigioniero, quasi schiacciato. Chiusi istintivamente gli occhi aspettando il peggio, ma per fortuna tutto andò secondo il programma.

Riuscii ben presto a completare quanto dovevo fare e a sentirmi soddisfatto perché avevo ormai la certezza che il peso non aveva compromesso la stabilità della cupola e che l’Angelo era finalmente in grado di ruotare sul suo perno.

Non sentii più il disagio di trovarmi imprigionato e ricordo che in pochi istanti riuscii a togliermi di lì, aprire la botola della cupola e salire finalmente all’esterno, sulla cima del campanile, ai piedi dell’Angelo.

Stefano aveva intanto agganciato alla schiena della statua la scaletta, già collaudata a terra, che doveva servire per arrivare in alto, vicino alla testa dell’angelo per togliere il gancio che lo teneva ancora legato alla gru e per installare successivamente il parafulmine.

Iniziai la salita tenendomi stretto, con determinata e ragionata energia, a quell’esile scala. Arrivato all’ultimo gradino, all’altezza dell’attacco delle ali, non mi rimaneva che arrampicarmi sul dorso dell’Angelo poggiando i piedi sulle sue grandi ali (oltre cinque metri di apertura) fino ad arrivare sul capo.

Ero consapevole di trovarmi sul punto più alto di Lendinara e di non avere alcuna cintura di protezione, ma non avevo eccessiva paura perché avevo già provato l’arrampicata qualche giorno prima quando l’Angelo si trovava in mostra all’interno del Duomo.

Allungai lentamente la mano verso il gancio della gru, lo liberai e sentii subito l’applauso salire verso il cielo. Il lungo braccio della gru si era così staccato dall’Angelo ed aveva subito iniziato un festoso girotondo aereo.

A cavalcioni sulle spalle dell’Angelo avvitai sul suo capo, al di sopra dell’aureola, l’asta del parafulmine e poi, davvero felice, scesi ai suoi piedi.

Un abbraccio con Stefano; un festoso saluto agitando al cielo le braccia; un ultimo sguardo verso l’alto e poi, quasi saltellando, giù a terra.

Ricordo le strette di mano, il compiacimento di tanta gente, il sereno sorriso di mons. Ennio Giusberti che ci attendeva davanti alla chiesa.

Aveva scelto lui il Lunedì di Pasqua, pieno di significato, per far ritornare sul campanile il nuovo Angelo, una scelta davvero indovinata che ridava a Lendinara il suo simbolo più amato.

Se le moltissime persone presenti saranno state prese sicuramente dalla festa di quel pomeriggio, con la benedizione all’Angelo prima dell’ascesa con la gru, la solenne Messa sul sagrato del Duomo di S. Sofia, i canti delle Corali cittadine, la Banda di Lendinara e l’imponente servizio d’ordine per la sicurezza di tutti, il mio cuore per sempre conserverà gelosamente un motivo in più, quello di aver rappresentato, quale Sindaco in carica in quel periodo, tutta la cittadinanza lendinarese orgogliosa dell’angelo e del suo campanile.

(Lendinara, Gennaio 2014, Ramis Tenan)


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IL TENTATIVO CON L'ELICOTTERO

L'aspetto più spettacolare delle operazioni per risistemare l'angelo sul campanile è stato sicuramente il tentativo con l'utilizzo dell'elicottero. Questa scelta era motivata dalla necessità di tentare di evitare l'elevato costo dell'impiego di una gru alta oltre 100 metri. Tramite l'On. Antonio Bisaglia fu interessato il comando della base americana Setaf di Vicenza. Il comandante ricevette Tito Bagatin, il sindaco che a suo tempo aveva preso i primi contatti, e il nuovo sindaco Ramis Tenan, che perorarono la loro idea di utilizzare un elicottero per reinstallare l'angelo sulla vetta del campanile. Il comandante della base si dichiarò disponibile e chiese però alcune condizioni di sicurezza per le operazioni, e assieme fu concordato l'utilizzo del campo di calcio con opportuni adattamenti come base di arrivo e ripartenza dell'elicottero. L'angelo fu quindi spostato dall'interno del duomo di Santa Sofia, dove era in mostra, al campo sportivo. Fu fatto un primo tentativo, ma la fitta nebbia di quella giornata impedì al mezzo di alzarsi in volo e si dovette rinviare a tempi migliori. Il secondo tentativo andò meglio, l'elicottero si portò al campo sportivo, agganciò l'angelo sotto gli occhi di moltissimi spettatori e partì verso il campanile, seguito materialmente e con gli occhi dagli spettatori che si portarono velocemente in piazzale Santa Sofia. Il mezzo volante si avvicinò piano piano alla punta del campanile, dove c'era un militare americano ad attendere per agganciare il perno dell'angelo; dopo alcuni tentativi, però, ci si rese conto che quel tipo di elicottero non garantiva una sufficiente stabilità. E anche in questo caso si dovette rinunciare per evitare guai e danni maggiori al campanile, e giocoforza si dovette poi ripiegare sull'utilizzo della gru.